La sottoscritta ha ormai capito che quando è ammalata la cosa peggiore che può fare è chiudersi in casa e riposarsi. Mi deprimo, mi innervosisco e mi sento molto più male di quanto effettivamente sto. Però sabato l’influenza mi ha messa a dura prova, e quella mezza giornata a letto l’ho dovuta fare. Ma domenica, domenica no. Domenica ero in piazza a Milano sotto la pioggia (pioggerellina, ok, non esageriamo). Come avevo promesso, come desideravo, come aspettavo da settimane. Ed è stata la scelta giusta, anche se ora ho una tosse che non mi lascia stare. Forse era l’unica scelta possibile. Un obbligo nei confronti di me stessa in primo luogo.

Quando sono arrivata, verso le 15.30, piazza Castello era stracolma: una vista impressionante. Nel tentativo di avvicinarmi al palco sono finita imbottigliata nel punto più gremito, in cui la quantità di persone ammassate era davvero “pericoloso” e impediva a chiunque di muoversi verso il centro della piazza o verso i margini. Mi sono chiesta più di una volta perché non avessero predisposto dei corridoi per far defluire la folla, ma in effetti quando si ha a che fare con folle di tali dimensioni è davvero difficile garantire dei minimi standard di sicurezza. In ogni caso, entro un venti minuti sono riuscita ad abbarbicarmi su una specie di fioriera e dal mio piedistallo sono riuscita a godermi tutto lo spettacolo. E quale spettacolo.

Prima di tutto, la folla: una fiumana che arrivava fino a Piazza del Duomo, si arrampicava sul Monumento equestre a Garibaldi, sui cornicioni delle facciate dei palazzi e ovunque si potesse godere di una vista migliore o di un po’ d’aria. Hanno detto che eravamo in centomila, io so solo che non riuscivo a vedere la fine della folla. Una folla, per di più, incredibilmente eterogenea: donne di tutte le età, non solo giovani, non solo studentesse, ma tantissime donne di mezz’età e tante, davvero tante, anziane, sessantenni, settantenni e anche oltre, che probabilmente non erano mai scese in piazza prima. Tanti uomini, quasi ad eguagliare il numero delle femmine.

La sensazione che ho avuto è che un’unica questione sia stata percepita come grave e importante da tutte le fasce della popolazioni, senza distinzioni di età, sesso, estrazione sociale. Tutti si sono sentiti colpiti, chiamati in causa. Si è riscoperto che cos’è la politica, cos’è veramente la politica: partecipazione. Ovvero libertà (cit). Questo mi fa piacere. Così come mi fa piacere aver visto così tanti uomini: perché se una donna può sentirsi vittima di queste continue denigrazioni, un uomo deve sentirsi insultato e umiliato dal modello imposto dalla “classe dirigente”. Sono contenta che si sia dimostrato che ci sono uomini che non sono invidiosi di Berlusconi, che rivendicano un diverso tipo di relazione con il mondo femminile, che sono disgustati da una sessualità compulsiva e denigrante per la donna. E sono contenta anche di quello che ho sentito: dalle frasi proclamate dal palco a quelle sussurrate tra la folla.

Tutti gli interventi sono stati significativi, alcuni sono stati più prestigiosi (Gad Lerner), altri mi hanno commosso personalmente (Eva Cantarella ha letto un brano di Gorgia sul potere della parola: mi sono sentita nell’Atene del V a.C.) Sono contenta che si sia smontato il frame “suore contro puttane” e si sia detto che, sì, nel privato chiunque è libero di fare ciò che vuole, ma che il privato non dev’essere il criterio di selezione della classe politica italiana (e non deve rendere la massima carica dello Stato ricattabile). Che si sia detto che non bisogna combattere Berlusconi ma il berlusconismo, che non si critica il Suo comportamento ma il Suo messaggio e la Sua condotta che lede agli interessi pubblici. Che si sia ricordato che non ci servono altre “immagini oscene”, scattate ad Arcore, di Berlusconi, perché in quindici anni e passa di governo di oscenità ne abbiamo viste abbastanza: gli atteggiamenti mafiosi-machisti-sessisti-omofobi, con dovizia di esempi. Che si siano letti i dati sull’occupazione femminile, sulla retribuzione, sull’aspettativa in gravidanza, sulle pensioni. E che fossimo tutti lì per dire: questo è inaccettabile.

E’ inaccettabile che una ragazza che ha studiato abbia come unica possibilità di ascesa sociale il matrimonio con un buon partito (consiglio dato dal premier ad una giovane disoccupata). L’aria che si respirava non era di rabbia ma di indignazione. Di educata e motivata indignazione: non ho sentito frasi demagogiche o massime lacrimevoli, ma tanti dati, tanti esempi, tante testimonianze. A dimostrazione che è la realtà ad essere incredibilmente drammatica e inammissibile. Non è più questione di principio o di moralità: è questione di urgente contingenza, e lì si sentiva. Si sentiva che chi era lì si sentiva offeso direttamente e per motivi ben evidenti.

Infine, sono incredibilmente felice di aver sentito parlare di speranza. Di fiammelle tenute accese durante la tempesta. E che si sia detto: questo può essere un inizio. E, credetemi, era un ottimo inizio. Io domenica ho intravisto un’Italia diversa. Capace di vedere, capire e giudicare. Un’Italia di cui andare un po’ fiera, finalmente.

P.S. Grazie ai lettori silenziosi. Ai vecchi maestri e ai nuovi amici. Siete molto importanti per me.